
Nei sogni della notte i cattivi chiedono perdono e i buoni uccidono.
Ma dietro gli occhi chiusi, ognuno mantiene il proprio segreto.
Percio' non sapremo mai cosa sognava il Nonno Stregone quella notte, quando all’alba il suo naso si sveglio'.
La prima cosa, infatti, che il nonno faceva ogni mattina, non era aprire gli occhi ma annusare.
Era quella la prova di aver passato un’altra notte e di essere ancora momentaneamente vivo.
Aprendo gli occhi avrebbe infatti visto il buio e le ombre della sua stanza. E avrebbe potuto trovarsi ancora in qualche onirico inganno o oscuro mondo parallelo.
Ma annusando non poteva sbagliare.
Se avesse sentito odore di zolfo e alcol per accendere il grill, quello poteva essere l’inferno. Odore di pane e mosto, il paradiso. Sul purgatorio non aveva le idee chiare, ma pensava che odorasse di semolino.
A volte il Nonno Stregone temeva di svegliarsi negli odori di una vita passata. Ad esempio, un rude aroma di coperta militare e insalata di piedi lo avrebbe riportato in caserma.
Matita e gesso di lavagna, era di nuovo bambino sul banco di scuola. Nebbia e lana di passamontagna, in bici verso il lavoro.
Inchiostro e piombo, la tipografia.
Ma se avesse sentito odore di lavanda e peperonata, allora al suo fianco, nel letto, ci sarebbe stata la Jole. Perche' la Jole, compagna della sua vita per lunghi anni, emanava quell’odore fascinoso e meticcio: i suoi capelli prima biondi e poi
bianchi avevano un buon odore di shampoo, ma cinquant’anni di aerosol alla peperonata in cucina li avevano permeati, e non c’era lavaggio che potesse scindere questo connubio.
Il nonno si commosse al ricordo e questo si concreto' non in lacrime ma in un peto.
Il peto era la prova della sua solitudine. Per anni aveva represso queste necessarie manifestazioni notturne per rispetto alla Jole. A volte si alzava di notte, andava sul terrazzino e modulava. Chi passava poteva pensare che lassu' ci fosse un gatto, o un sassofonista insonne. A volte un amico transitava e per solidarieta' rispondeva in controcanto.
Poteva accadere pero' che un sol diesis subdolo e indomabile partisse. Allora la Jole si muoveva un po’ nel letto, borbottava qualcosa, o faceva finta di niente.
Il peto del nonno quella mattina si perse nell’aere e nessuno protesto'.
Se un diavolo avesse risposto con solforoso contrappunto, sarebbe stato all’inferno.
Se un angelo avesse purificato l’aria con un turibolo d’incenso, sarebbe stato in paradiso.
Se un ragioniere di Varese avesse protestato, sarebbe stato come quella notte nel wagon-lit.
Nulla accadde e cosi' il nonno penso' che era nuovamente e momentaneamente vivo, nel solito mondo.
Ma voleva la prova certa.
Annuso' con piu' forza e senti' odori che lo rassicurarono.
Odore di pane, anzitutto.
Meraviglioso profumo di pane, dalla bottega del fornaio, prova dell’operosita' umana e della quotidiana lotta per la sopravvivenza. Al profumo si accompagnava la vigorosa voce del fornaio Selim che intonava una versione italo-egizio-punk
di E se domani.
Poi il nonno annuso' odore di caffe'. Nel suo naso entrarono la Colombia, l’Arabia, Maracaibo, le navi del pirata Morgan e Posillipo. Il bar stava aprendo.
Cosi' si accinse ad alzarsi e a compiere le ventisette azioni che un umano adulto deve compiere per riprendere il proprio posto nel mondo. Riatteggiarsi a bipede, lavarsi, vestirsi, calzarsi, riempirsi le tasche di oggetti rituali, controllare che niente manchi eccetera.
L’uomo primitivo, penso' il nonno, doveva fare solo tre cose.
Alzarsi con cautela, per non dare una testata nella caverna, e pisciare.
A volte le due azioni erano contemporanee.
Non doveva togliersi il pigiama e vestirsi perche' il vestito notturno e quello da lavoro erano uguali: una pelle di scimmia o di altro donatore.
La terza azione era grattarsi il cranio e constatare l’assenza di un dentifricio, di una caffettiera, di un tostapane e di altre future ideazioni. Cosi', deluso ma leggero, usciva dalla caverna per una nuova giornata.
Il passaggio dalle tre azioni fondamentali del pitecantropo alle ventisette dell’umano medio si chiamava civilta'.
Il Nonno Stregone scese dal letto.
In giovane eta' si balza giu' dal giaciglio come i gatti, in un colpo solo. All’eta' del nonno si scende come un pitone che ha mangiato sei angurie, un gradino alla volta.
Soprattutto, una volta in piedi restavano molte cose da fare.
Alcune assai insidiose, come ad esempio indossare i pantaloni.
I pantaloni hanno tre anime e tre volti.
Vanitosi, pacifici e ben stirati nella vetrina del negozio.
Informi, goffi e dormienti quando li fai cadere a terra o li posi sulla sedia.
Complicati, litigiosi e pieni di biforcazioni quando li devi infilare alla mattina, specialmente se hai fretta.
Ma ancora piu' subdoli sono i calzini.
Il Nonno Stregone aveva stabilito che, alla sua eta', tre erano i modi possibili di infilarli.
Uno, posizione detta “della spogliarellista”, steso sul letto con una gamba sensualmente sollevata. Tempo necessario all’impresa: un minuto, salvo perforazione del pedalino da parte dell’unghia dell’alluce.
Due, posizione eretta “gamba sulla sedia”. Unico rischio, uno schianto del legno o un colpo della strega.
Tre, posizione “riciclami”: andare a letto coi calzini e usare gli stessi la mattina dopo. La meno igienica ma la piu' rapida.
Inoltre, nello scegliere il paio bisognava tener conto dell’esistenza della LIC, Legge di infedelta' del calzino, che dice cosi':
Un calzino, messo nel cassetto,
cerchera' quasi sempre di far coppia con un calzino diverso.
Quindi i pedalini tendevano a sfuggire a una banale similarita' e formavano duetti fantasiosi: corto nero con lungo blu, cotone cannettato con lana a losanghe, e cosi' via.
Poi bisognava pisciare con paziente calcolo balistico. Poi...
Ma il Nonno Stregone era ancora uno splendido settantenne.
Dopo aver compiuto le ventisette operazioni della civilta' umana, scese le scale e si trovo' in strada.
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